Le domande dei bambini
Ieri una bambina di sette anni mi ha chiesto: "Perché nasciamo se poi muoriamo?". Bene. Anzi male: come si spiega la morte ad un bambino? Come lo si convince che c'è un senso, anche quando non pare esserci affatto? Avendo più tempo a disposizione, avrei potuto correre il rischio, conoscendomi, di impegnarmi in una risposta scientifica stile: "Devi sapere, mia dolce creatura, che la Natura vive della morte dei suoi figli. Tuttavia nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Pensa all'albero che, al momento giusto lascia cadere le foglie, sue figlie, affinché, col tempo, esse possano decomporsi e mescolarsi alla terra diventando nuovo nutrimento per l'albero stesso."
Facile no? Funziona così bene per tutto ciò che è naturale. Anche per noi umani. Tuttavia non consola affatto pensare ad un caro, o a noi stessi, "fare terra" per nutrire altri esseri viventi che a loro volta ne nutriranno altri, in un susseguirsi di passaggi che portano inevitabilmente di nuovo a noi. A pensarci bene c'è un che di cannibalismo. Che noi si debba tutti seriamente pensare al vegetarianesimo?
O forse avrei dovuto aggirare l'ostacolo della perigliosa domanda dal lato spirituale: "Devi sapere, mia dolce creatura, che esiste, in ognuno di noi, una parte che sopravvive alla morte, in quanto eterna. C'è da sempre e sempre ci sarà. Insomma: chissà dove, si conserva quella goccia di eternità che costituisce il nostro vero essere." Ma temo che neanche così sarei riuscita a consolarla. Perché lo sa anche lei che 'sta benedetta anima, se c'è non si vede, non si tocca, non si sente. Perché in questi nostri panni umani siamo ciechi e sordi, e ciò che si fa più sottile ci sfugge come sabbia tra le dita.
Se, invece, stranamente, fossi stata in modalità cinica avrei potuto rispondere così: "Devi sapere, mia dolce creatura, che la vita è unammerda. Ma consolati: lo è per tutti!".
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