Come Dolly

Chi mi legge (già... Chi mi legge?) avrà capito che ho preso ad amare la tanto odiata (ai tempi della scuola) fisica. Bestiale l'ostinazione con cui mi cimento nella lettura di testi divulgativi, redatti pazientemente da autori che si impegnano nel rendere accessibili concetti impossibili ad idioti del mio calibro. Sostanzialmente, mi pare d' aver capito che la fisica studia una realtà, la quale può esser definita tale, solo laddove si verifichino degli eventi. Nell'ipotesi di un Universo in cui nulla si manifesti e tutto resti eternamente statico, neppure avrebbe senso l'esistenza di tale, stupefacente scienza. Da millenni, le più grandi menti s'interrogano ed hanno intuizioni sulla natura di ciò che ci circonda. E litigano di brutto: da chi sosteneva che lo spazio esiste di per sé stesso, così come il tempo, a chi, di contro, giurava che, soltanto se esistono "oggetti" da poter mettere in relazione tra loro e di cui osservare i cambiamenti, è possibile parlare di spazio (ciò che separa gli "oggetti") e di tempo (quello necessario affinché i cambiamenti si verifichino). Ma come cazzo hanno fatto a farsi venire in mente tali, profonde domande, laddove io tribolo, tutt'ora, dopo millenni, a capirle anche una volta spiegatemi? Spiegatemi voi... Un altro punto che mi è piuttosto chiaro è che la maggior parte (forse tutti?) dei fenomeni osservati e descritti dalle teorie e dai principi, si verifica se esistono delle differenze (prima si accennava ai cambiamenti, no?). Che ne so: diversità di temperatura, posizione, velocità, potenziale, dimensione, entropia, stato quantico, spin... E qui capisco che uno dei motivi per cui la fisica tanto mi appassiona, è il suo stretto legame con la filosofia e la spiritualità. Perché purtroppo, nonostante nella pratica io fatichi molto a relazionarmi con persone diverse da me, e per tutta la vita abbia espresso giudizi su tutto ciò che da me è differente (magari mi fosse indifferente...), ebbene, intuitivamente, come i più grandi maestri insegnano, sento che questa follia che chiamiamo mondo è perfetta proprio perché completa di tutto (ergo di "cose" diverse tra loro). Capito, no? Ci vuole il buio per capire cosa s'intende per luce, la tristezza per apprezzare la gioia, la destra per sapere quando non andare a sinistra (ah no, non più: è da mo che sono la stessa cosa), ahimè, il male perché abbia senso parlare di bene e via dicendo con la vasta gamma di faccende dualistiche che permeano la realtà per come ci appare. Addirittura, il principio di esclusione di Pauli afferma che, chessò, due elettroni identici non possono occupare contemporaneamente lo stesso stato quantico. Echeccazzo: sarò un elettrone anche io, perché non so in che stato quantico sono (parrebbe pietoso), ma di certo, altri stronzi identici a me non ne vedo. E per quanto mi sia odiata tanto da non potermi vedere (figuriamoci, dunque, andare alla ricerca di qualcuno uguale a me), ad oggi, 44 anni appena compiuti, avrei proprio bisogno di imbattermi in qualche forma di vita se non a me identica, almeno simile. Insomma, ne ho i coglioni così pieni di 'ste differenze che spero la scienza trovi il modo di clonare noi umani. Così, una volta duplicata, potrò finalmente parlare "da sola" (di fisica) senza sembrare pazza. Perché pazza, io, lo sono davvero! 
P.s. Comprate il libro così la smetto di scassare! 

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