Era mio padre

Mio padre ha sempre amato dormire. Non si levava certo al canto del gallo e nonostante ciò, dopo pranzo, aveva proprio bisogno di un pisolino. Pisolino per il quale doveva accontentarsi del divano, dal momento che mia madre mai gli avrebbe concesso il letto rifatto. Va detto che il divano non doveva necessariamente essere il nostro: andavano bene anche quelli dei parenti presso cui trascorrevano le feste comandate o quelli dei parenti che vivono lontani, dai quali si recava per consegnare l'olio. Come i bambini: mangiava e dormiva. E per non smentirsi, anche nel suo letto di morte sembrava dormire. D'altronde tra i tanti appellativi della morte vi è pure "sonno eterno": sarai dunque contento di sonnecchiare, finalmente, senza mamma che ti sbranda ad una certa ora. Invece a noi manca la tua sagoma distesa su quel divano troppo corto che ti faceva sembrare un gigante. Un gigante buono.
Mio padre, anche da sveglio, ha sempre parlato poco in famiglia. Ma come dargli torto, con due donne intorno? Il suo silenzio somigliava più ad un "qualunque cosa dica potrà essere usato contro di lei". Una strategia di sopravvivenza insomma. Di contro, in giro, pare fosse chiacchierone e divertente. Ancora me lo vedo (o meglio intravedo) nella vecchia bocciofila, indistinto in mezzo ad una nube di fumo tossico sprigionata da centinaia di sigarette, intento a giocare a carte, fumare e sparare cazzate. Perché mio padre amava sommamente fumare e frequentare la bocciofila presso la quale si dilettava molto anche nel gioco delle bocce. Per questo il suo santino funebre lo ritrae nell'atto di lanciare una boccia, nella posizione tipica che assumeva in quei frangenti.
Mio padre non era il classico uomo capace di fare tutto in casa, anzi: era quello che, quando mia madre, che comandava, decideva si dovessero imbiancare i muri, saliva sul tavolo per raggiungere il soffitto rompendolo a metà, cadendo e rovesciando pure la latta di bianco, tra le bestemmie accorate di mia madre.
Mio padre era miope; se indossava maglie blu la pelle del suo viso assumeva una colorazione grigio-malattia e si pettinata sempre la frangia con la riga a metà checché mia madre ed io lo sfottessimo per quelle che noi chiamavamo "tendine": non si potevano vedere.
Mio padre non puzzava mai di piedi ed aveva le dita delle mani tutte storte. Ed io le ho ereditate, per questo le amo, seppur non belle.
Mio padre ha pianto un mese di fila quando è nata mia figlia. E, una volta grandicella, non accettava la sgridassimo, né poteva sentirla piangere.
Mio padre era "raid pai d'en paluc" però mi ha insegnato a giocare a tennis e ad andare in bici.
Mio padre ha sempre guidato per lavoro e conosceva tutte le strade però l'unica volta che mi ha portato in motorino, ha frenato sulla sabbietta e ci ha fatto cadere entrambi. Non gli ho mai chiesto se amasse guidare, ma ho sempre preteso mi portasse dappertutto. In effetti gli ho mai chiesto molto: sono tante le cose di cui abbiamo mai parlato. Forse per questo quella fatidica sera ha deciso di dedicare le sue ultime parole proprio me. Avessi saputo che non avrei più sentito la sua voce le avrei registrate, tanto più che tendo a rimuovere anche le cose più importanti. Una però la ricordo: si rammaricava del fatto che fossi sola. Forse perché, proprio per il fatto che parlavamo poco, non sapeva che se mi attrae qualcuno o viceversa, trattasi 100% di disagio puro. Mi sento comunque abbastanza sicura di rincuorarlo: è vero che son passati quasi 10 anni dalla tua dipartita ed io sono ancora sola; tuttavia è altrettanto vero che di disagio pullula questo strano mondo. Ah pa'... vuoi che non ce ne sia ancora un po' anche per me?

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