Isole

Man mano che invecchio divento sempre più curiosa. No, non nel senso di strana... cioè sì, anche, ma in questo caso intendo "curiosa" come desiderosa di sapere e conoscere.  E tra i miei interessi spicca quello per la spiritualità e la ricerca interiore. Il che dovrebbe rendermi una persona gioiosa, piena di vita e sprizzante amore da tutti i pori. Di contro io sono cupa, priva di slancio vitale e sprezzante di tutto e tutti. E non so come si possa fare diversamente, dati i capisaldi degli insegnamenti spirituali. Uno di essi, ad esempio, consiste nell'accettare che, in quanto esseri del tutto unici, ognuno di noi è intrinsecamente ed inesorabilmente solo. Cosa che ho compreso e condivido, ma che non considero un dono. Accorgersi di essere soli, ma raccontarsi di essere unici non è soluzione che mi consoli. Non riesco a considerare la mia unicità come un punto di forza, ma riesco benissimo a sentirmi sola di brutto. Quindi per quale cazzo di motivo dovrei gioire? Per aver passato i migliori anni della mia vita credendo fosse realmente possibile comunicare, condividere, comprendersi con gli altri quando è evidente che non lo è? Ognuno è solo nella sua testa. Siamo isole gli uni per gli altri, imprigionati dai nostri stessi confini. Vittima della mia unicità non potrò mai avvicinarmi alla tua, e viceversa. Che meraviglia. In ogni caso, ad oggi, seppur abbia cominciato ad accarezzare l'idea di dover accettare la condizione di solitudine dell'essere umano che per anni ho negato, rifiutato, finto che non esistesse, sono ancora arrabbiata. Perché non mi basto. O meglio: a volte mi basto ed avanzo, tanto che mi butterei via; altre, invece, vivo nella mancanza. Una mancanza lacerante, una nostalgia antica. Come avessi perso una parte di me che non ricordo nemmeno d'aver posseduto.
Un altro caposaldo della spiritualità che pare, da un lato confermare, dall'altro contraddire il precedente è: gli altro siamo noi. Contraddire perché se gli altri sono me ed io sono gli altri, allora è come se insieme fossimo frammenti di un qualcosa di più grande. Quindi se siamo insieme non siamo soli. Confermare perché, se siamo una cosa sola, siamo l'unica "cosa" che c'è al al mondo, quindi inevitabilemente sola. E già qui c'è da impazzire. Se poi ci si sofferma ad osservare chi ci circonda... se gli altri, soprattutto quelli che mi infastidiscono, rappresentano aspetti di me che non ho ancora visto/compreso/accolto, allora meglio spararsi un colpo. Perché se è così, ho kilometri di lati storti che non vedo, ma scorgo chiaramente negli altri come motivo e causa del mio disagio nello stare in società. Tuttavia devono riguardare anche me, se no non li noterei nel prossimo. Ritengo infatti che si veda solo cioè che si conosce: ci vuole una persona invidiosa per scovare nell'altro il sentimento dell'invidia. Ci vuole una serie di travi conficcate negli occhi per vedere solo le pagliuzze altrui. Insomma io sono come gli altri, ma non me ne accorgo. Uccidetemi.
P.s. Comprate il TERZO libro così mi consolo per il secondo!

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