Errori sul lavoro

Nonostante abbia mai amato l'idea di "lavoro", ho avuto (ed ho) la fortuna di amare quelli che ho scelto. Ricordo ancora cosa pensai del mio primo lavoro vero, quello al centro di riabilitazione "G. Ferrero" di Alba: "Da qui non me ne vado più!". E in effetti poco ci è mancato: dopo 6 anni di quella professione, ero pronta per passare da operatrice a utente. In effetti quell'esperienza: mi ha regalato moltissime delle situazioni più arricchenti, divertenti, intense e terribili della mia vita; ha gettato luce sulle zone d'ombra che abitano ognuno di noi per quanto non lo si sappia o, se sì, si nascondano sotto il tappeto, come si fa con la polvere; tanto, tantissimo mi ha dato ed altrettanto mi ha tolto, e velocemente anche, visto che mi sono spesa tutta e subito, per poi rimanere senza manco l'energia di lasciarlo. Ci ho messo anni. Si sa: il primo amore non si scorda mai. Quasi fosse un innamorato, io l'ho amato ed odiato, e più mi faceva soffrire, più mi tenevo inchiodata a lui. In seguito, nei successivi 15 anni di sociale, ho sperimentato altre utenze, magari meno stimolanti, ma anche meno "difficili", almeno dal mio punto di vista. E infine sono capitata tra gli anziani delle Rsa, cui ho dedicato più di 11 anni della mia vita lavorativa. Ho sempre avuto feeling con i vecchi: dev'esserci qualcosa di antico dentro di me, che mi fa sentire a mio agio con la terza età. E allora mi mancano gli occhi dei più compromessi mentalmente, di solito persi nei meandri del tempo, che tornavano presenti per seguirmi attenti quando interpretavo con tutta me stessa gran parte delle hit degli anni dai '20 ai' 60 che conosco a memoria e non so perché. Mi manca consolare gli afflitti ed i malinconici cronici, farmi consolare e sgridare a mia volta (quante volte), parlare del più e del meno coi chiacchieroni arzilli, così come discorrere del nulla con quelli con cui non è più possibile ragionare "normalmente" (in assoluto i miei preferiti... vero Graziella❤️?). Mi manca sistemare gli armadi delle più ordinate e occuparmi della manicure delle vanitose, scrivere loro poesie per il compleanno, ballare e cantare insieme alle feste, giocare a carte. Mi manca l'affetto che mi riservavano e l'apprezzamento dei parenti che mi vedevano in azione (di gran lunga superiori a quelli che ottengo tra "amici"e famigliari). Mi manca la sensazione di essere importante e utile per qualcuno, di fare davvero la differenza. Solo la tombola e la cooperativa non mi mancano. Affatto. 
Adesso sono bidella, ed anche questo lavoro mi piace. Pulire non solo non mi pesa, ma è fonte, per me, di grande soddisfazione, vista la tangibilità immediata del risultato. Certo: è un impiego meno creativo di quanto non sia la professione di educatrice, ma è caratterizzato da una maggiore chiarezza del compito ed un minore dispendio di energia emotiva e mentale. E poi è sociale comunque: ci sono i bambini. E non solo. Ma mi taccio va. Insomma, pur avendo amato i miei, ho sempre visto il lavoro come una gabbia dalle sbarre invisibili, al di là delle quali scorre la vita vera. Forse per questo ho mai avuto grandi ambizioni in merito. Tant'è che non mi piacerebbe trasformare la scrittura in lavoro, dal momento che ne odio il concetto stesso. Meglio resti un piacere. E poi è una passione, quella per la scrittura, che necessita della passione altrui per la lettura. Ma l'Italia è orgogliosamente alta in classifica per analfabetismo funzionale quindi... dove cazzo voglio andare? A lavorare, appunto. Ora, ad un lavoro, personalmente chiedo che: 1) comporti meno responsabilità possibili; 2) mi lasci più tempo libero possibile; 3) mi costringa ad un numero di colleghi il piu esiguo possibile. Tutte cose che, posizioni di prestigio e ruoli di comando che nutrono e gonfiano l'ego, non garantiscono. Per quanto riguarda il sogno di stipendi stupendi, non c'è: ho sempre avuto bisogno di poco e non necessito di tante ball-ops-belle cose superflue che testimonino al mondo che io valgo. E nemmeno mi sento sminuita nel fare un lavoro umile. La dignità d'una persona non si pesa sul tipo di lavoro che svolge, ma sulla passione e l'impegno con cui ci si dedica. E poi si sa che i posti migliori sono per i peggiori.
In ogni caso se è vero che "Chi non lavora non fa l'amore", lo è altrettanto che chi lavora scopa ancor meno causa stanchezza, stress, nervosismo e orari di lavoro dei partner inconciliabili. E no: non "rende liberi", se non di scegliere la prigione che meglio ci illuda d'esserlo (consiglio Luciano Agosti in merito). Altra scusante che tutti adducono per giustificare il fatto che si debba lavorare è: "Si lavora per mangiare", salvo poi aver né tempo, né voglia, né energia di accudire la cucina e mangiare cibi che non son degni di questo nome, trattando noi stessi da bidoni della spazzatura. Ma agghindati da paura: perché noi valiamo (e lavoriamo 30 ore al dì per dimostrarlo). Per fortuna la verità sta riaffiorando lentamente in superficie. È stata infatti effettuata un'eccezionale scoperta nel rinvenire alcuni frammenti di un antico papiro di aforismi e perle di saggezza. Ebbene, dalle ricostruzioni e successive traduzioni risulta che, tra i vecchi proverbi alcuni siano stati fraintesi, altri riportati incompleti, altri ancora mal trascritti o tradotti. Per fortuna li stanno riscrivendo. Tipo questo: "Chi non lavora, non mangia MERDA". E ricordate il famoso "Il lavoro nobilita l'uomo"? Le balle... Bene: in origine era "lo Mobilita": dal caldo ed avvolgente abbraccio delle sue lenzuola, al freddo e crudele mondo di là fuori, fatto di colleghi e capi d'ogni sorta. Lo solleva spiritualmente e fisicamente dal divano, lo innalza dalla poltrona, lo (e)leva dalla tranquillità delle sue 4 mura per scaraventarlo nella violenza del traffico. Perché purtroppo possiamo raccontarcela fino a domani, ma il lavoro ci tocca, 'sto molesto, invece di tenere le mani apposto. 
P.s. Comprate il libro NUOVO così la smetto di scassare! 

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