Chiavi? No, grazie...

Dev'esserci un motivo se le scuole tendono ad accumulare, negli anni, quantità di chiavi non quantificabili. Esse si manifestano (ovviamente solo se non le stai cercando) in tutte le forme, dimensioni e colori che lo scibile umano può contemplare: chiavi a mappa singola, a mappa doppia, a cilindro, a doppia faccia, a punzonate, chiavi a pompa, a doppia traccia, tubolari, a curve con coda di rondine, passpartout e chiavi di sicurezza. A volte sole solette, spesso in mazzi, quasi mai con portachiave recante indicazioni sull'utilizzo delle stesse (e, qualora ci sia, riporta scritte sbiadite, illeggibili o sbagliate), molte nuove, altrettante vecchie. Chiavi conservate in scatole di cartone polverose, in barattoli di latta decorati a decoupage e appese a puntine fissate su assicelle di legno o in cassette per le chiavi appese ai muri. Chiavi con cappucci di gomma di disparati colori, che disperata vai cercando quella verde ma è l'unico colore che ti manca e a nulla varrà mescolare la blu con la gialla per ottenerla. Chiavi in tasca, chiavi sulle cattedre delle bidellerie, chiavi nei cassetti, chiavi che cambiano di mano e di posto, basta sia mai quello giusto. Chiavi le cui porte non esistono più (se non nella memoria dei bidelli più vecchi, sempre che non abbiano ancora manifestato sintomi di Alzheimer, data l'età pensionabile pensata per far sì che è meglio non pensarci) eppure vengono gelosamente conservate per essere rifilare ai precari inviati nei vari plessi dell'istituto comprensivo affinché ne escano temprati, anche perché, di entrare, con quel mazzo, col cazzo. Chiavi di violino e chiavi inglesi disegnate su cartelloni appesi nelle classi, pure... Chiavi che conosci, perché del collega, ma guai a metterci mano: potrebbe averle cosparse di un veleno antifurto che agisce al tatto; chiavi che non conosci, allora ti tocca provarle tutte, in un loop che ti ripropone sempre le stesse: quelle che non aprono. Chiavi personali che avrebbero dovuto restare a casa e chiavi che avrebbero dovuto rimanere a scuola (ma ti sono rimaste nella tasca del grembiule, quindi, facilmente, un bel giro in lavatrice non glielo lava-ops-leva nessuno). Meno male che io ho un ottimo rapporto con questo articolo. Le dinamiche tra noi spaziano dal: 1) perderle sul serio; 2) credere di averle perse in qualche luogo del mondo, perché sicurissima di averle prese prima di uscir di casa, per poi scoprire che erano state "solo" dimenticate; 3) dimenticate con la sicurezza di averlo fatto, ma col dubbio del "dove": A) piantate nella toppa dentro casa; B) piantate nella toppa fuori casa; 4) rubate insieme alla borsa; 5) infilate nel taschino bastardo della suddetta, subdola borsa, dunque introvabili laddove sono sempre state; 6) confuse con quelle del lavoro quindi a scuola, o viceversa. Date tali premesse mi pare ovvio che colui ch'ebbe l'ardire di dire che "Quando si chiude una porta, si apre un portone", aveva ben chiara, sempre, l'ubicazione esatta di tutte le chiavi utili allo svolgimento di tali operazioni. Se no col cazzo che chiudeva e apriva con tutta sta disinvoltura. Ok... Ora basta... Vado a chiudermi in me stessa, nella speranza di non smarrire la chiave tra le altre, nel cassetto dove giacciono addormentate, senza nome né scopo, la chiave della felicità, la chiave del successo, varie chiavi di sicurezza, chiavi di bassi e alti, chiavi dei miei personali paradisi e inferni. Magari possedessi anche la chiave di tutti i problemi... O, meglio ancora, un set di chiavi di lettura giuste per aprirmi ad un nuovo modo di vivere. Tipo quello in cui accetto che son io la chiave di volta della mia vita e la smetto di dimenticarmi, perdermi, confondermi. 
P.s. Comprate il libro NUOVO così la smetto di scassare! 

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