Voce del verbo gattara


Appollaiata sul cuscino, 
occhi a palla. 
Immobile la gatta, 
in botta sul mobile, 
non vuol che la tocchi. 
Rivolta alla Mecca, 
rifiuta bistecca, 
sempre più secca... 
Manco si lecca. 
Si morde la coda, 
per l'amor del cielo,
qualcuno mi aiuti 
prima che esploda, 
già vittima il pelo 
degli artigli acuti.
Per questo la sedo 
coi medicinali, 
accanto mi siedo e... 
male la vedo 
(saranno gli occhiali?). 
Mai più animali!
Non so cosa fare,
le metto il collare. 
Così mi fà pena, allora lo levo. 
Mi piscia il divano, 
divento una iena, 
adesso l'ammazzo 
'sta gatta del cazzo. 
Ma poi rifà pena, le lavo il cuscino, mica è un dispetto, è matta col botto, o meglio, la botta: fusa, cotta, fatta, pupilla dilatata, fissa, 
non vibra vibrissa, 
più non fa le fusa.
Ma la mia palla di nero pelo resta, 
e guanciuta, 
che l'avessi avuta prima, 
nella vita 
(il dubbio c'è, e resta) 
avrei forse capito 
più cose degli altri, di me 
(chi ha un gatto sa perché, 
che sono loro a scegliere te).
E t'amo ancor di più 
seppur soprammobile 
e pure impolverato; 
nonostante il male tuo ignobile, ringrazio chi t'ha inventato, 
oh maestra mia essenziale 
dall'animo nobile.

P.s. Comprate il libro così la smetto di scassare! 

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